La settimana di boscoriserva dedicata al blues non poteva concludersi che con uno dei più grandi bluesmen che abbiano calpestato i palchi del festival: Robindro Shaunkor Chowdhury, in arte Ravi Shankar, soprannominato da George Harrison dei Beatles “il padrino del sitar”.
La civiltà e la società indiane mi affascinano. Negli anni ’80 del secolo scorso ebbi anche un mezzo invito a fare un viaggio in quel subcontinente, ma per qualche motivo non colsi l’opportunità, o forse -più semplicemente- non ero pronto. E per andare là venendo da qua bisogna essere pronti.
Voglio dire, ci puoi andare in qualsiasi momento, se hai i piccioli per il viaggio, e poi -quando sei là– come fai a far valere il prezzo del biglietto, se non sei pronto? Ma questo non è tema da approfondire di venerdì. Di venere né di marte ci si sposa né si parte, tantomeno per l’India dentro di voi.
Tornando alla musica…dicono i libri che l’omo è nato in Africa, e lì ha pure imparato a suonare e ballare. Non so cosa sia successo tra la valle dov’era lo scheletro di Lucy e l’India, ma nelle lande orientali dell’orbe terracqueo ha imparato a suonare e cantare con eleganza e soavità, e di questa eleganza e soavità, quella indiana è quella che mi suona meglio, anche se non capisco le parole.
Curiosità su Ravi Shankar (essendo un artista a me poco noto sono andato a documentarmi…): come diceva Guzzanti su riedughescional ciannel…”lo sapevate che Norah Jones è sua figlia? Sapevatelo, su boscoriserva, e grazie a Uichipìdia”.
Il brano…e non è male, non è male…potrebbe essere uno shuffle delle loro parti, ditemi voi.