Dieci minuti fa ero in un’ascensore di un palazzo di una città in cui gli ascensori potrebbero non servire più di tanto, e una coppia discuteva di una cena o un pranzo che stanno organizzando per domani…a un certo punto parlavano di qualche ingrediente che poteva essere usato per un certo piatto, ma anche per condire qualcos’altro.
Dal condire, è stato breve il passo al con-dire, e quindi al dire-con.
diverse persone mi hanno chiesto in questi mesi che cosa vuol dire “brano bag”, o “che cosa è”, o “se non penso che sia una cosa effimera”, o “se è necessario mettersi al pc mediamente prima delle 07.00 per comporre “dal vivo” questa rubrica, senza altra preparazione se non il sonno della notte prima e 45 anni di pellegrinaggi, tra la baia di San Francisco, la bassa Norvegia, il medio Marocco e le città Ittite da cui, guardando a Est si vede distinto il picco triangolare del monte Van.
Finora ho sempre detto che il significato dell’espressione “brano bag” non si può regalare così, “gratis”…sebbene almeno una decina di persone che ricevono questi messaggi quasi quotidiani lo dovrebbero conoscere già da 4-5 anni. Non per egoismo o per snobismo, ma perché…perché poi ci si arriva.
Però si può pensare a delle analogie…si potrebbe dire che i brano bag sono un modo di condire un’insalata culturale, e “dire con…” allo stesso tempo ?
Si potrebbe…
Per chiudere una settimana improntata alla metafora del piano di studi, una canzoncina facile facile…quattro accordi (gli stessi di She’s got Issues degli Offspring…provate RE-LA///DO-SOOOL) e un testo istruttivo.
…molto bello anche il prologo, che cala la canzone in un contesto storico…ogni espressione artistica seria e sempre figlia dell’epoca in cui nasce, e riesce poi a trasmettere qualcosa dopo che quell’epoca è passata e a prescindere dal percorso dell’artista che l’ha creata.
E’ curioso, infatti, anche se non strano, che Finardi, tra una fase decisamente di riflessione e di “cittadino attivo” e una fase di grande vecchio del folk-blues, sia stato ad esempio interprete della canzoncina che presentava la nuova Cinquecento (la prima vera “nuova” Cinquencento).
Grande Eugenio! Nun ce lascia’ (e poi canta strabene in inglese…non a caso essendo mezzo americano, se non sbaglio ?).
(Eugenio Finardi)
Ci dicevano, insistevano, di studiare
che da grandi ci sarebbe stato utile sapere
le cose che a scuola andavamo a imparare
che un giorno avremmo dovuto anche lavorare.
E c’è chi è stato promosso, c’è chi è stato bocciato,
chi non ha retto la commedia ed è uscito dal gioco
ma quelli che han studiato e si son laureati
dopo tanti anni adesso sono disoccupati.
Infatti mi ricordo mi sembrava un po’ strano
passare quelle ore a studiare latino
perché allena la mente a metter tutto in prospettiva
ma io adesso non so calcolare l’iva.
Io volevo sapere la vera storia della gente
come si fa a vivere e cosa serve veramente
perchè l’unica cosa che la scuola dovrebbe fare:
è insegnare a imparare
Io per mia fortuna me ne son sempre fregato
non facevo i compiti, non ho quasi mai studiato.
Ascoltavo dischi, mi tenevo informato.
Cercavo di capire ed adesso me la so cavare.
Perciò va pure a scuola per non far scoppiar casino,
studia matematica ma comprati un violino, impara a lavorare il legno,
ad aggiustar ciò che si rompe, che non si sa mai nella vita
un talento serve sempre.