Nel nebbioso novembre 2014 una sera alla vecchia Combriccola di Torniella (GR) si presentò un signore basso con un cagnolino basso. Prese un caffè. Poi notò una chitarra appoggiata in un angolo e chiese se poteva suonare due accordi, che un po’ se ne intendeva. Era Jary Joe, di passaggio.
Jary Joe (che tutt’ora potete sentire se andate dalle sue parti, verso Benicasim) ha vissuto chitarristicamente gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, suonando con vari personaggi, fra cui Charles Aznavour. Avendo stregato i pochi avventori della prima sera, la voce si sparse nel paese, e si andò a organizzare una situazione un poco piu’ attrezzata, con Peter Crivelli al basso elettrico e Jack O’Malley alla chitarra ritmica. Di questa serata abbiamo 49 secondi a caso, grazie a Beppe Giannotti.
E’ la traduzione in esperanto di “BuioMetria Partecipativa”. Gli animatori del progetto BMP sono sempre stati attenti al multilinguismo, e quindi, dall’occasione dell’intervento tenuto a Pistoia il 30 maggio 2014, ospiti di un gruppo esperantista, non poteva non nascere un minimo di contaminazione.
Intervista con Leopoldo Dalla Gassa, Presidente di VenetoStellato, associazione attiva da anni sul tema dell’inquinamento luminoso.
Sul sito della rete Loss of the Night è disponibile la versione in inglese.
a cura di Andrea Giacomelli
AG: Leopoldo, raccontaci della nascita di VenetoStellato
LdG: Dopo l’entrata in vigore della legge regionale 22/97, alcuni astrofili si sono riuniti per capire le opportunità offerte per tutelare gli osservatori astronomici dalla legislazione veneta, prima in Italia a dettare delle regole per il contenimento della dispersione luminosa in cielo. A seguito delle riunioni che si effettuavano annualmente per verificare lo stato dell’arte, nell’aprile del 2000 si costituì ufficialmente il Coordinamento regionale veneto contro l’inquinamento luminoso, denominato appunto VenetoStellato. A oggi sono iscritti all’associazione una quarantina di nominativi che vedono tra gli iscritti associazioni di astrofili, ambientaliste, ricercatori universitari e singoli cittadini, con un’età media fra i 35 e i 40 anni.
AG: Come siete distribuiti sul territorio?
LdG: Attualmente abbiamo una marcata prevalenza di soci nelle province di Verona, Vicenza e Padova, e meno su Rovigo e Treviso. Mancano invece soci su Belluno e Venezia. Forse per la provincia di Belluno la distanza dalla pianura è il motivo della mancata partecipazione.
AG: Quest’anno VenetoStellato ha partecipato a un’iniziativa particolare: lo “spegnimento” controllato delle luci di una città . Raccontaci com’è andata… LdG: Il 28 marzo di quest’anno, in prossimità del novilunio, ad Asiago, dove hanno sede i telescopi dell’Osservatorio Astronomico INAF di Padova a Cima Ekar e quelli dell’Università di Padova, Dipartimento di Astronomia, al Pennar, è stato chiesto lo spegnimento di tutti gli impianti di illuminazione pubblica di Asiago appunto e di altri comuni facenti parte dell’altopiano. La richiesta è stata fatta dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Veneta, di concerto con l’Osservatorio Permanente sul fenomeno dell’Inquinamento Luminoso, organo costituito per legge al fine di verificare l’applicazione della normativa, e di cui VenetoStellato fa parte. L’iniziativa aveva il duplice scopo di divulgare presso il grande pubblico il problema della dispersione della luce nell’ambiente notturno, oltre a verificare l’incidenza dell’illuminazione comunale sulla brillanza del cielo notturno. L’attuale legislazione prevede che si possa spegnere l’illuminazione pubblica per non pi๠di tre giorni all’anno compatibilmente con le condizioni di sicurezza, quindi si è chiesto, lo spegnimento integrale delle luci cittadine. Una relazione sull’evento, in cui si ritrovano anche le misurazioni svolte, è scaricabile dal sito ARPAV.
AG: Quanto è durato l’evento?
LdG: Lo spegnimento è durato tutta la notte del 28 marzo, in pratica l’illuminazione pubblica non è mai stata accesa, con esclusione di alcune rotatorie particolarmente importanti.
AG: Qual è stata la risposta della cittadinanza?
LdG: Da evidenziare che non c’è stata alcuna reazione negativa allo spegnimento. Anzi, alcuni gruppi di persone, semplici cittadini, si sono organizzati per osservare dai prati e dal centro cittadino, il cielo stellato al fine di rendersi conto com’era qualche decina di anni addietro.
AG: VenetoStellato collabora anche con ARPAV per le segnalazioni. Come funziona?
LdG: VenetoStellato, come indicato nella legge regionale, è tra le associazioni che sono state individuate per collaborare con i comuni veneti per fornire aiuto e suggerimenti all’applicazione puntuale della normativa. Gli stessi soggetti hanno anche la possibilità di segnalare eventuali violazioni di legge nella realizzazione di nuovi impianti di illuminazione pubblica, e di richiedere la messa a norma di apparecchi di illuminazione pubblica e privata. Per questo si avvale della collaborazione di ARPAV, alla quale vengono trasmesse in copia le segnalazioni inviate ai comuni per una verifica di veridicità circa le stesse.
AG: Quante le segnalazioni effettuate a oggi?
E’ difficile avere un conteggio. Facendo una stima per difetto, direi che le violazioni documentate sono oltre duemila, considerando sia gli impianti pubblici che quelli privati. Da considerare che ogni segnalazione è la somma di intere aree artigianali o commerciali, quindi il numero di punti luce fatti mettere a norma si potrebbero contare in alcune migliaia.
AG: Quali sono le problematiche pi๠frequenti?
La tipologia di apparecchi che solitamente sono messi all’indice sono i proiettori e le torri faro, che spessissimo sono in totale violazione di legge. Per ultime, ma non meno importanti, si stanno controllando in numero crescente le insegne pubblicitarie, in particolar modo quelle dei centri commerciali, i quali sono una delle maggiori fonti di inquinamento luminoso.
AG: Da tre anni VenetoStellato partecipa, con la rete di monitoraggio costituita dalle stazioni di misura ubicate presso alcuni degli osservatori dei vostri soci, al CORDILIT (Coordinamento per la Raccolta dati sull’inquinamento luminoso). Avete notato qualche tendenza nei dati?
LdG: Usiamo i dati CORDILIT appunto per monitorare l’andamento della brillanza del cielo notturno, traendo conferme o meno alle segnalazioni compiute e alla divulgazione del problema. Circa le tendenze nei dati, per poter dare riscontri esaustivi, stiamo attendendo l’esito di verifiche che stiamo svolgendo sia con ARPAV che con l’università . Il dato che stiamo notando è comunque che c’è una leggera variazione nei picchi di buio. Per quanto riguarda la stazione di Nove, appena installata la centralina, nel 2011, si osservavano dei massimi di magnitudine attorno a 19,8. Ultimamente stiamo vedendo valori sopra 20. Ad esempio siamo arrivati a 20,21 come miglior lettura strumentale. In media abbiamo guadagnato quasi 0,4 sulla scala di magnitudine: chissà a quanti miliardi di lumen non inviati in cielo corrispondono!
AG: Quali vedete come rischi principali per la tutela del cielo notturno nella vostra zona?
LdG: Il maggior rischio per la tutela del cielo notturno consiste nella proliferazione di impianti di illuminazione a LED. Infatti la legge veneta non ne vieta l’uso e nemmeno limita la temperatura colore dei diodi luminosi. Quindi, se saranno usati apparecchi a LED con forte componente blu (con temperature di colore superiori a 4000K), solo la componente dovuta alla riflessione, come inquinamento sarà molto maggiore delle tradizionali lampade al sodio. Per questo invitiamo le amministrazioni ad usare, in caso di apparecchi a LED, temperature colore non superiori a 3000K.
AG: Quali sono le vostre aspettative e i vostri obiettivi
LdG: L’aspettativa nel nord-est, e in Veneto in particolare, è che finalmente si possa prendere coscenza dello spreco energetico dovuto alla eccessiva e inutile illuminazione artificiale dove non è necessaria e con le dovute potenze, oltre che al rispetto puntuale delle prescrizioni legislative. Non per nulla ci ritroviamo, dopo solo la Spagna, come i maggiori consumatori di energia elettrica per l’illuminazione artificiale in Europa…un primato che ci farebbe veramente piacere non avere.
AG: C’è qualche episodio particolare che ti fa piacere ricordare, nella vostra attività sul territorio?
LdG: A volte si devono usare anche le “maniere forti” per far applicare la legge. In effetti VenetoStellato, a fronte di un continuo e ripetuto rifiuto di applicare la legge nei confronti dei privati, da parte di un’amministrazione, si è visto costretto a chiedere alla Procura della Repubblica di intervenire perchè fossero verificate eventuali omissioni. A fronte di cià², visto l’interessamento della stessa e la presenza delle forze dell’ordine negli uffici comunali per chiedere spiegazioni in merito, l’amministrazione interessate nel giro di pochi giorni ha provveduto a emanare ordinanze di immediata messa a norma di tutti gli impianti segnalati. Da allora, attraverso gli articoli di stampa apparsi su alcune testate giornalistiche, usiamo gli stessi come chiave di apertura al dialogo nei confronti dei pi๠“riottosi” al fine di far capire che non serve, e non paga, mettersi contro la legge.
Riordinando alcuni documenti abbiamo notato che il 9 giugno 2008 veniva presentata al pubblico la BuioMetria Partecipativa. Era un lunedì, anche allora.
La nascita fu registrata -nel senso che c’era anche una videocamera- presso l’ex Cinema Mori di Ribolla, ora sede di vari spazi gestiti dal Comune di Roccastrada (biblioteca, punto internet…) nonché una delle Porte del Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane.
L’evento ebbe risonanza nazionale: Francesco Giubbilini fu intervistato da l’Altro Lato di RAI Radio Due, e da lì si cominciò il percorso partecipato che oggi vede il progetto continuare a raccogliere misure come sei anni fa invitato a tenere lezioni universitarie sul tema della qualità del cielo notturno all’estero, in parallelo installare sensori in località remote dell’altissima Maremmma (o della bassissima val di Farma-Merse) e confrontarsi con altri temi e problematiche legate alla questione “luce artificiale notturna”.
Un resoconto informale di quel periodo è disponibile nella “breve storia della buiometria partecipativa”, un work in progress avviato nel 2012 da pibinko e pubblicato in italiano e in inglese (vedi puntata sul giugno 2008, ITA, ENG)
In attesa di una relazione sulle attività della BuioMetria Partecipativa nel primo semestre 2014 -pubblicazione prevista entro luglio- oggi ci faceva piacere ricordare una ricorrenza e condividere la cosa con voi.
Infine, arriva Nicolino, che come tutte le rockstar che si rispettino è accompagnato da un autista, Giuliano da Follonica, grandissimo passionista di ottava rima. Diteci voi la causa del ritardo tra almeno una di queste tre:
Nicolino è un poeta-rockstar viziato, che per vezzo arriva sempre con un’ora di ritardo
Nicolino lavora in campagna, e siccome nel pomeriggio c’è stato uno scroscio dalle sue parti ha dovuto tardare per finire il lavoro
Comunque: ci siamo. Alle 19.40 circa, comincia la performance. Trattandosi di temi improvvisati, la scaletta è necessariamente ricostruita a posteriori,
Rima di saluto (Elino Rossi, Fernando Tizzi, Nicolino Grassi)
Intermezzo di Fabio Antonelli con spiegazioni sull’ottava rima
Presentazione del Festival di Pomonte (improvvisazioni, corsi di rima e convegno, dall’11 al 15 giugno)
Contrasto: E’ meglio il vino bianco o il vino rosso? (Elino Rossi e Nicolino Grassi)
Intermezzo di Nicolino
Contrasto: Sono meglio le bionde o le more? (Nicolino Grassi e Fernando Tizzi)
Intermezzo di Fabio Antonelli, con recita di composizione autografa
Rima di commiato, con l’arrivederci a Pomonte
Verso le 20.45 ognuno riparte per le rispettive residenze, con una giornata che comincerà presto la mattina dopo, date le rispettive occupazioni.
Sotto, alcune fasi salienti della serata.Molto interessanti anche le discussioni nel backstage (che in questo caso coincideva con lo stage), da cui sono emerse parentele, affinità e altre vicende non documentate.
E le registrazioni dei contrasti in rima? Ci sono pure quelle, ma vanno riascoltate e montate prima di poterle condividere. Nel frattempo: appuntamento a Pomonte per chi ci potrà essere, dall’11 al 15 giugno, ricordando per per i corsi di rima non è necessario seguire tutte e tre le giornate e che l’iscrizione è gratuita.
E grazie, come per le altre occasioni, al Caffé Ricasoli.
Nel 2014 varie città italiane concorrevano per definire quale sarebbe stata la candidata a capitale europea della cultura 2019. Fu poi Matera…ma nel 2014 ancora non si sapeva, e tutte le partecipanti si davano da fare per essere le più belle, le più intellettualmente attive ecc ecc.
Nel frattempo all’epoca eravamo in pista con l’associazione Attivarti.org (ora in coma farmacologico dati gli sviluppi sulla normativa del terzo settore): stavamo organizzando la trasferta di palla a 21 a Milano e altre cose ganze. In parallelo, con la BuioMetria Partecipativa avevo da un anno il ruolo di referente per l’Italia in un progetto europeo del programma COST (cooperazione scientifica) ecc. ecc.. diciamo che sul piano culturale e scientifico, stavamo facendo il nostro, avevamo dei riconoscimenti reali, e qualche lira.
La questione della capitale della cultura mi interessava come potenziale spazio in cui proporre le nostre storie. Seguendo via via le questioni nel senese, venni a sapere che organizzavano una serie di incontri per contribuire a mettere a filo il dossier della candidatura di Siena. Uno di questi incontri aveva un titolo che dal 2020 per diverso tempo diventerà difficile usare: “Infective Roads“…la cosa era forse riferita al fatto che la cultura si può diffondere attraverso vie di comunicazione e quindi fare bene…. comunque. Rispondendo all’invito, mandai questa mail:
L’incontro sarebbe stato il pomeriggio di lunedì 5 maggio, in una delle sale del complesso museale di S. Maria alla Scala, il vecchio ospedale, dirimpetto al Duomo di Siena.
Mi metto in marcia da Torniella. Dopo un quarto d’oretta arrivo a Monticiano, e nella piazza principale vedo Roberto, detto Mariano, detto Sandokan, di Scalvaia, che aspettava. Mariano era uno dei coprotagonisti dei telefilm sulla palla a 21 che giravamo dal 2007. Era anche uno dei principali barzellettieri della Val di Farma (a Scalvaia organizzavano proprio a maggio la sagra della barzelletta con pranzo e a seguire sfida di barzelle fra Mariano come “resident” contro il resto del mondo, a partire da una parente di Roccastrada).
Comunque: essendo Mariano senza auto, ma con la necessità in quel periodo di recarsi nel capoluogo comunale per alcune pratiche, prendeva l’autobus della mattina per Siena. Poi sbrigava le sue pratiche, magari in mezz’ora, e dopo, essendo senza auto, a 7 km da casa e non in grandissima forma fisica, aspettava. O un passaggio di qualche conoscente (cosa non improbabile data la logistica delle valli Farma/Merse), o alla peggio l’autobus che ritornava in giù, ma dopo diverse ore.
Accosto. “Ciao Mariano, come stai?”. “Oh Andrea, ciao…che bbevi?”. …[OMISSIS]. Dopo un paio di [OMISSIS] Mariano mi chiede se gli posso dare un passaggio a Scalvaia. Gli dico volentieri, ma in effetti sto andando a Siena a una riunione ecc ecc.
Poi, saranno stati gli [OMISSIS] o uno dei momenti di linearità che si manifestano via via nelle storie della rete pibinko.org, ma faccio a Mariano una proposta. Gli spiego meglio del convegno e gli chiedo se è interessato a venire anche lui. Un’occasione per far due passi a Siena (comunque mi interessava che venisse al convegno).
Mariano non ci pensa due volte. Poi aggiunge “…ma Bob viene?”. Dico io non lo so, ma sentiamolo. Chiamo Bob. Bob era in effetti di rientro dal lavoro da uno dei suoi clienti (un personaggione con titoli nobiliari di cui avremo modo di riparlare) che vive a 2 km in linea d’aria da S. Maria alla Scala. Comunque ci dice che sarebbe venuto volentieri anche lui e di aspettarlo a Monticiano, in modo da fare una macchina sola. Nell’attesa dell’arrivo di Bob, per scrupolo, scrivo una mail alla segreteria del convegno:
Bob arriva a Monticiano. “Ciao ragazzi, come va?”. “Che bbevi?”. [OMISSIS]. Si parte per il convegno a bordo della Lancia Y di ordinanza. Io vestito più o meno da ingegnere, Bob coi calcinacci del cantiere, e Mariano vestito da Mariano.
La risposta alla mail mi arrivò mentre eravamo probabilmente in viaggio:
[STACCO SU PIAZZA S. MARIA ALLA SCALA, DAVANTI ALL’INGRESSO DEL COMPLESSO MUSEALE]
Bob e Mariano, davanti alla prospettiva di dover stare due ore in un ambiente dove non si può fumare, consumano quattro o cinque sigarette di fila in 5 minuti.
Entriamo, ci fanno passare per il convegno. Scendiamo varie scale. Ambiente molto suggestivo tra mura medioevali e arredi ultramoderni. Arriviamo alla sala del convegno. Circa 150 partecipanti.
Come molti eventi di questo tipo, la scaletta prevede alcuni relatori “keynote” che diano un po’ il La. Poi, se le cose sono fatte bene, esiste un criterio per proporsi per intervenire. Se no si aprono scenari di marasma comunicativo. In questo caso le cose erano fatte bene, per cui mi iscrivo per parlare e torno al mio posto. Con Bob e Mariano ci eravamo strategicamente seduti in ultima fila, in modo che loro potessero uscire per fumare.
La teoria di presentazioni si snoda fra cose più o meno interessanti e/o innovative. Mariano, che era piuttosto debole, ogni tanto si inclinava da un lato, quasi appisolandosi. Bob lo riprendeva bonariamente: “via, Roberto… “.
A un certo punto viene il mio turno, e ho i miei 5 minuti di visibilità nell’ecosistema culturale della capitale mondiale del pan pepato, del Monte dei Paschi e della Mens Sana (basket). Fra le altre cose, in riferimento a uno dei temi, che era il tenere eventi durante l’anno della cultura anche fuori Siena, ricordo di aver chiesto a quanti chilometri dalle mura prevedevano di arrivare. Non in tono polemico, ma proprio per il fatto che avevamo già fatto cose in terra senese, ma non vicino alla città, e negli anni avevano registrato una certa difficoltà a entrare in relazione con stakeholder a nord del fiume Merse, al di là di qualche scambio occasionale.
Comunque. Finisco di parlare, moderati applausi di rito, e torno al posto. Riprendono altri interventi. Mariano continua a non essere sempre vigile, non aiutato dall’atmosfera ovattata e dalle luci soffuse.
A un certo punto, va a parlare un signore vestito di nero, un po’ alla Steve Jobs, e dice “Sapete, io ho visto da poco un documentario sul Tibet. Lì facevano vedere che usano le capre per tenere puliti i giardini. Questa è una pratica interessante, di cui ci potrebbe tenere conto nell’anno della cultura a Siena, per diffonderla in vari posti ecc ecc.”. Mentre questo signore spiegava la proposta, Mariano era in uno dei momenti di veglia. appena sente dire della cosa della capra, sbotta (a voce alta, dall’ultima fila…150 persone presenti): “Eh, l’hai fatta te la scoperta! Ché, ‘un si sapeva!”. Poi si zittisce. Io e Bob lo guardiamo con un misto di sorpresa e riflessione.
Dopo un po’ decidiamo di partire: non in ritirata strategica, ma perché effettivamente abbiamo detto quello che dovevamo dire, sentito quello che dovevamo sentire, e perché non ha troppo senso far stare persone abituate a stare fuori in ambienti chiusi per troppo tempo.
Questo episodio di Mariano che risponde, magari in modo non garbato, ma “de core” all’intellettuale alla Steve Jobs che pensa di avere scoperto una pratica originale. Nel tempo è entrato nella top ten delle lezioni di relazione fra centri di conoscenza urbani e zone rurali.
NOTA EDITORIALE: Questa è la prima di una serie di interviste tenute da Andrea Giacomelli a esperti nel campo della luce artificiale notturna, nell’ambito della azione COST Loss of the Night. Le interviste sono pubblicate in versione originale sul sito LoNNe e tradotte in italiano da Attivarti.org.
AG: Estefania, qual è il tuo ruolo all’interno dell’agenzia?
ECG: Sono un tecnico specializzato nel campo dell’inquinamento luminoso. Lavoro nel centro di raccolta dati sulla qualità dell’ambiente e nell’agenzia dell’acqua in Andalusia. E’ un ente regionale.
AG: Da quando sei impegnata direttamente sull’inquinamento luminoso?
Lavoro nell’ambito dell’inquinamento luminoso dal 2006. Uno dei miei progetti principali è stato quando ho lavorato alla creazione di un regolamento in materia di protezione della qualità del cielo notturno contro l’inquinamento luminoso. Al momento offro supporto tecnico e assistenza nell’applicazione del regolamento.
AG: quante persone sono attualmente impiegate nell’agenzia sul tema?
ECG: siamo un gruppo di quattro tecnici specializzati.
AG: la tua agenzia si occupa di corsi di formazione rivolti agli illuminotecnici nelle amministrazioni pubbliche. Puoi spiegare come funziona questa attività e quali sono i risultati che avete raggiunto?
ECG: uno dei principali obiettivi del governo regionale è quello di garantire l’applicazione del regolamento sull’inquinamento luminoso. Per questo stiamo fornendo ai comuni dell’Andalusia il necessario supporto tecnico per facilitarne l’attuazione. Il nostro lavoro si concentra su quattro aspetti: zonizzazione del territorio dei comuni, formazione del personale, fornitura di linee guida per quanto riguarda la regolamentazione e gestione di esperienze pilota. Per dare un’idea della scala della nostra operazione, nel 2011 abbiamo organizzato otto workshop tecnici in varie parti della regione, rivolti a tecnici e rappresentanti comunali. Come risultato di ciò abbiamo formato più di 1000 tecnici, in una regione composta da 771 comuni.
Una delle questioni più critiche nella formazione dei rappresentanti dei comuni è collegata al colore della luce. I criteri di risparmio energetico nell’illuminazione da esterno, se considerati a se stanti, tendono ad orientare verso l’uso di lampade con la massima efficienza, cioè quelle che emettono pi๠luce con un minor consumo di elettricità . Da questo punto di vista, la tecnologia LED può offrire la principale opportunità di risparmio energetico. Tuttavia, a oggi, la maggior parte dei LED ad alta efficienza energetica sono quelli che emettono grandi quantità di luce blu, e questa, rispetto ad altre fonti di energia artificiale, è più dannosa dal punto di vista ambientale.
Il regolamento dell’Andalusia limita i LED bianchi nelle zone con un livello di protezione più elevato (definite come E1 e E2 dal regolamento).
Una delle nostre azioni consiste, dunque, nel suggerire alternative ai rappresentanti dei comuni, come ad esempio diverse soluzioni tecnologiche che offrano un’elevata efficienza energetica così come un colore della luce rispettoso dell’ambiente. Il mercato offre già LED di colore giallo fornendo, con un’efficienza energetiva accettabile, anche se inferiore a quella dei LED bianchi o di altre tecnologie consolidate, sia una luce che è più rispettosa verso l’ambiente.
Mentre le questioni relative alla temperatura del colore non sempre sono conosciute dai tecnici che incontriamo, abbiamo trovato casi nei quali i rappresentanti comunali ne sono molto consapevoli. Un esempio è il Comune di Almeria, dove si trova l’osservatorio astronomico di Calar Alto. In questo caso abbiamo scoperto che il sindaco ha sperimentato in un quartiere pilota un’illuminazione con luce monocromatica con una adeguata temperatura di colore, e sta progettando di estendere l’uso di tale illuminazione a parti più estese del Comune.
Un’altra questione critica riguarda i livelli di illuminamento. A questo proposito vorrei citare la relazione tra società sviluppate e spreco di luce. Questa è una delle tendenze che devono essere invertite, se vogliamo creare società più sostenibili. Quando si passa a lampade pi๠efficienti, l’occasione dovrebbe essere presa al volo per abbassare i livelli di illuminamento, a seconda delle esigenze della comunità in cui sono le luci sono installate. Un maggior risparmio energetico puòessere realizzato in parallelo alla creazione di spazi più confortevoli.
AG: una delle azioni che il governo andaluso ha ordinato di compiere è quella di sviluppare progetti pilota per offrire ai comuni i casi di buone pratiche. Potresti dirci di più riguardo a questa attività ?
ECG: l’obbiettivo dei progetti pilota è quello di aiutare i comuni ad attuare il regolamento e promuovere la partecipazione delle società di servizi energetici [1] interessate all’ambiente come una soluzione per finanziare questo sforzo. Come risulto, il governo offre ai Comuni i censimenti dei sistemi di illuminazione, un piano di transizione verso la conformità alle normative, un’analisi finanziaria e una quota di sostegno economico.
Fino ad oggi abbiamo condotto dieci progetti nella nostra Regione.
AG: Quali vedi come obiettivi realizzabili in relazione alla riduzione dell’inquinamento luminoso in Spagna/Europa nei prossimi 5-10 anni?
ECG: credo che il valore dei cieli notturni come patrimonio culturale abbia bisogno di essere evidenziato. Lo stesso vale per il valore dei nostri osservatori astronomici come patrimonio scientifico. Al fine di raggiungere buoni risultati, le strategie per la prevenzione dell’inquinamento luminoso dovrebbero essere supportate da campagne di sensibilizzazione e informazione. Una soluzione del problema sarà raggiunta attraverso un approccio coerente e consensuale tra costruttori, amministrazioni, comparti economici e cittadini. Per questo abbiamo bisogno di coinvolgere tutte le parti sociali ed economiche interessate nei loro ruoli, e nell’uso del regolamento.
Agendo in questo modo, penso che sia possibile raggiungere alcuni obbiettivi generali importanti, come il considerare i criteri ambientali nella progettazione di sistemi di illuminazione. Raggiungendo la conformità normativa e nel contempo riducendo i livelli di illuminazione. Parlando dell’Andalusia, uno dei nostri principali obiettivi per il prossimo anno è collegare la protezione del cielo notturno con lo sviluppo economico attraverso la promozione del turismo astronomico. Per questo stiamo organizzando una conferenza a Granada (Andalusia) dedicata a questo tema alla fine di aprile [2], quindi siete tutti invitati a partecipare. Ultimo ma non ultimo, vorrei dire che uno dei nostri sforzi più promettenti e recenti è quello di promuovere la certificazione di qualità dei cieli notturni in Andalusia, attraverso i programmi di IDA e l’Iniziativa Starlight.
[Traduzione a cura di Elisa Bartalucci]
NdR [1] equivalenti alle ESCO italiane
[2] in corso proprio durante la pubblicazione della versione italiana dell’intervista
[ringrazio Lorenzo da Venturina (LI) che ieri mi ha fatto notare
che la rubrica è uscita con l’intestazione “branobag”. La cosa che mi ha
fatto sorridere è che mi ha scritto “o ‘un si chiamava boscoriviera?”. Grande Lorenz: abbiamo il titolo della prossima rubrica!]
Una volta chiesi a uno dei miei capi ai tempi americani se gli piaceva la musica rock.
La domanda era chiaramente tendenziosa: essendo nato a S. Diego,
Californ-i-a, nel 1969 poteva avere un’età compatibile alla
partecipazione a concerti “al top”, nell’ambito del discorso che stiamo
portando avanti, e quindi potevo magari attingere a testimonianze
oculari legate ad alcuni miti di boscoriserva, e in particolare a due:
Jimi e Janis.
Larry, così si chiamava, un bell’uomo sulla sessantina, con barba bianca da project manager saggio e una voce alla Clint Eastwood, mi raccontò una storia.
“You know, Andreah… (sai Andrea)…il rock non mi ha mai esaltato, ma da giovane mi piaceva andare in bici. Un’estate andammo a fare un giro con dei miei amici in [una zona rurale della California che non ricordo] e
ci fermammo presso una fattoria. Lì c’erano due gruppi che suonavano, e
non più di una decina di ragazzi che ascoltavano. Uno dei due gruppi
erano i [non ricordo il nome] e gli altri si chiamavamo Grateful Dead“.
Molare, come dicono i dentisti: se parli con gli anziani della tribù, puoi sempre scoprire che hanno avuto frequentazioni inedite e vicine ai tuoi interessi della tua generazione. Magari Roger Daltrey, sperimentando la stessa cosa, avrebbe cantato diversamente?
St. Stephen è l’unico pezzo dei Grateful Dead che mi ricordo bene, essendo anche il primo che mi è capitato di sentire. Per me è uno dei pezzi “psichedelici” per antonomasia, qui proposto in un’esibizione di poco successiva al boscoriserva. Per far vedere il gruppo ben è importante cercare video non troppo in là negli anni ’70, perché in quel periodo la barba di Jerry Garcia crebbe secondo una geometria assirobabilonese sino a occupare la maggior parte dei palchi che calcavano. A voi l’ascolto. La traduzione fatta bene richiederebbe un’ora buona, essendo un testo un po’ elaborato, per cui caso mai fatela voi e poi la aggiungo. La qualità del video è bassa, ma merita tutto (e la seconda parte del video è veramente notevole per motivi di “Costume e società”).
Per il testo con varie note a margine che provano a interpretare il simbolismo spinto di questo brano, vi invito a vedere la pagina di tale Dave Blackburn dell’Università di Santa Cruz in California.
Oggi stiamo sul facile. Gli Who non hanno bisogno di troppe
presentazioni, mentre possiamo introdurre -dopo il mito della
reinmusicazione-
quello della reincanzonazione. Così come la reinmusicazione è il
passaggio dello spirito musicale di un gruppo o di un artista a un altro
in epoca diversa (casi acclarati: Janis Joplin e Bjork, oppure i Dexys
Midnight Runners e gli Of monsters and Men), la reincanzonazione è
quando lo spirito di una canzone si ritrova in un’altra. “My generation”
è necessariamente la reincanzonazione di “Dio è morto” di Grancesco
Fuccini, pardon, Francesco Guccini.
La reincanzonazione non implica concordanza di generi o di storie, così come la reinmusicazione.
Nella “My generation” suonata a Boscoriserva, chissà come mai, nel
finale la canzone si fonde per un con il ritornello di “io vado da con
un piccolo aiuto dai miei amici”, un po’ più sfatta di quella di Joe
Cocker, ma sempre con un alone dell’arrangiamento a canzoncina
dell’originale beatlesiano.
Suggeriamo anche una versione in studio
(televisivo) in cui, saltato il prologo abbastanza inutile, è possibile
apprezzare meglio l’esibizione di tutti i componenti del gruppo, sopra
tutti il bassista John Entwhistle con uno degli assoli che è diventato
riferimento per le quattro corde nella storia del dondola.
Dei quattro, l’unico che interpretò appieno lo spirito della canzone
fu Keith Moon, il batterista, deceduto all’età di anni 32, dopo avere
distrutto un numero indeterminato di tamburi e avere ispirato il
personaggio del batterista pazzo del Muppet Show. Gli altri più o meno
“ci sono stati dentro”. John ci ha lasciato un paio di anni fa, e Pete e
Roger ancora si vedono in giro, con discrezione. Sarei curioso di
vederli seguire un esibizione degli Who di oggi…che so…i Maximum the Hormone (attenzione: il link rimanda a un brano non adatto a tutte le generazioni).
People try to put us d-down (Talkin’ ‘bout my generation) | la ggente cerca di buttarci giù (parlo della mia generazione)
Just because we get around (Talkin’ ‘bout my generation) | solo perché si va in giro
Things they do look awful c-c-cold (Talkin’ ‘bout my generation) | le cose sembrano proprio freddine
I hope I die before I get old (Talkin’ ‘bout my generation) | spero di morire prima di diventare vecchio
This is my generation | questa è la mia generazione
This is my generation, baby
Why don’t you all f-fade away (Talkin’ ‘bout my generation) | ma perché non sparite
Don’t try to dig what we all s-s-s-say (Talkin’ ‘bout my generation) | non cercate di apprezzare quello che diciamo
I’m not trying to ‘cause a big s-s-sensation (Talkin’ ‘bout my generation) | non sto cercando di destare grande sensazione
I’m just talkin’ ‘bout my g-g-g-generation (Talkin’ ‘bout my generation) | sto solo parlando della mia generazione
My generation
This is my generation, baby
Why don’t you all f-fade away (Talkin’ ‘bout my generation)
And don’t try to d-dig what we all s-s-say (Talkin’ ‘bout my generation)
I’m not trying to ‘cause a b-big s-s-sensation (Talkin’ ‘bout my generation)
I’m just talkin’ ‘bout my g-g-generation (Talkin’ ‘bout my generation)
This is my generation
This is my generation, baby
My my my generation
People try to put us d-down (Talkin’ ‘bout my generation)
Just because we g-g-get around (Talkin’ ‘bout my generation)
Things they do look awful c-c-cold (Talkin’ ‘bout my generation)
Yeah, I hope I die before I get old (Talkin’ ‘bout my generation)
This is my generation (Talkin’ ‘bout my generation)
My generation (Talkin’ ‘bout my generation)
This is my generation, baby (Talkin’ ‘bout my generation)
Essere nel giro giusto conta. Avere nel giro giusto, anche. Ce lo ricordano film come il fresco Capitale umano di Virzì, oppure l’intramontabile Animal House. Nel prologo del film di John Landis Larry e Kent, neoiscritti al campus e un po’ sfigati, si presentano alla festa di “arruolamento” dell’associazione di stuendi più prestigiosa, la Omega. Mentre cercano di familiarizzare con quelli che sembrano i personaggi più prestigiosi della festa vengono sistematicamente “rimbalzati” dai responsabili della Omega verso l’angolino in cui si trovano “Mohamed, Jugdish, Sidney e Clayton”…un extracomunitario, un non vedente e altri profili di soggetti più o meno socialmente marginali. Insomma: il giro giusto si difende e gestisce i soggetti ritenuti inferiori, confinandoli in spazi controllati. E da questo respingimento si innesca poi il film.
Oggi la ricerca del giro giusto si è riportata, necessariamente, anche nel virtuale. Se Facebook è il grande purgatorio degli “amici” e di quelli che non sanno farsi (o non sanno che ci si può fare) un sito web e quindi aprono pagine FB per avere una presenza in rete, per i professionisti il giro giusto è Linkedin. Partita nel 2003 (quindi poco prima della sua sorellona minore di età ma maggiore di portata), è nata come social network di chi lavora, inizialmente soprattutto nel terziario avanzato, e orientata soprattutto a cercare o ritrovare contatti di lavoro. Scopo nobilissimo sempre, e più che mai nella congiuntura di questo secondo decennio del terzo millennio.
Fin qui, niente di nuovo, mi direte…fino a qualche mese fa.
La mia percezione era che Fèissbucc fosse il grande disco bar caciarone e Lìnkdinn forse il jazz club raffinato, che il sito con le bande blu fosse quello del cazzeggio spinto e quello con le bande grigie fosse quello dove stare composti e indossare la cravatta virtuale, che non si sa mai.
I miei contatti Linkedin erano esclusivamente o colleghi, o clienti del mio impiego presente o passato, o loro contatti professionali diretti.
Negli scorsi 8-12 mesi ho però notato…non voglio sbilanciarmi a dire una tendenza, ma una frequenza crescente di contatti da soggetti che non sono né legati all’ingegneria ambientale né ai sistemi informativi territoriali. Andando a scorrere la lista degli inviti a stabilire un contatto trovo: direttori di strutture di tiro a segno, “soci fondatori e titolari” di se stessi, agenti di commercio, assistenti di chef service, mediterranean district manager di società in settori sulla carta completamente scorrelati dal mio, architetti iunior (con la “i”) e studenti dal Sud Africa.
Come mai prima ricevevo quasi esclusivamente contatti da informatici o esperti di ambiente, e ora mi viene chiesto di entrare in una rete professionale con personaggi così eterogenei e non appartenenti a ordini professionali affini al mio corso di laurea? Obbrobrio! Non è possibile! O Magnifico Rettore, aiutami a conservare il giro giusto!
Parlavo di questo fenomeno con un noto DJ, molto attento ai social network. Secondo lui “tempo due anni e Linkedin sarà morto”, non nel senso che sarà chiuso, ma nel senso che non sarà più un differenziatore tra chi sta in rete sociale per lavorare, e chi ci sta per non lavorare e che il giro giusto che Linkedin può rappresentare per un professionista sarà svalutato, perché -come nelle discoteche di un certo livello- la selezione all’ingresso sarà più lasca, e quindi l’ambiente si sarà degradato…non sarà più il giro giusto.
Mentre starete cercando inevitabilmente il prossimo social network d’élite (Ying? Rand? Callme? Whatsdown? Ciùffola? Ermejoz?), considerate anche anche un’altra visione della cosa: forse è l’ora di trovare mestieri in cui è possibile un ingegnere ambientale collabori con un direttore di tiro a segno, un badante, un manager di alto livello e due ballerine. Se avete visto da poco Il Capitale umano, provate a rivedere Animal House, e pensiamoci nel frattempo.
They tried to make me go to rehab but I said, “No, no, no” Yes, I’ve been black but when I come back you’ll know, know, know (Amy Winehouse, citata da Virzì)