Archivio mensile:Febbraio 2013
Un tempo si chiamavano cafoni
regia riprese e montaggio Orsola Sinisi
durata 36m
anno di produzione 2006
menzione speciale al NIFF nel 2009
“Sono cresciuta in Puglia dove i bambini giocano per strada e il cielo è tanto
dove si parla una lingua strillata e le vedove si vestono di nero….”
Nell’ estate del 2006 ho conosciuto Daniele, rumeno clandestino approdato nel foggiano due anni prima per la raccolta del pomodoro e rimasto attraverso le stagioni per le olive, i carciofi, il grano l’uva e ancora il pomodoro…
Per due anni Daniele ha vissuto in tenda insieme a numerosi suoi connazionali svegliandosi al mattino, lavorando i campi per almeno 12 ore al giorno per 3 euro l’ora nel tentativo di mettere insieme i soldi necessari per comprare una casa in Romania e ricominciare
Ho passato del tempo con loro, i braccianti, ho conosciuto le loro storie e i loro diversi obiettivi, alcuni aspiravano a regolarizzarsi e trasferirsi in Italia, molti semplicemente fuggivano la miseria, e l’abitudine e la speranza li ha resi in grado di tollerare fatica e privazione
Nel video, come se intorno ad una tavola, si confrontano questi braccianti clandestini con un’immigrata regolare e due donne “indigene”, braccianti anch’esse, con i loro comprensibili pregiudizi nei confronti di questi nuovi arrivati che puzzano, portano via il lavoro e, cosa ancor più grave, insidiano i mariti
Fa da contrappunto un interprete critico della realtà che evidenzia nella globalizzazione e nelle speculazioni le reali responsabilità della crisi dell’agricoltura e nella radicata abitudine ad accondiscendere il padrone l’incapacità di comprensione
Quello che emerge nella terra di Di Vittorio è “una moviola del tempo”, e la memoria delle lotte sindacali, “del sangue versato dai nostri padri e dai nostri nonni,” si è cancellata assopita da un rumoroso benessere, “case grandi, magazzini…”, che non corrisponde ad un miglioramento della qualità della vita
“mondo era, mondo è, mondo sarà” conclude la zia Assunta: i nuovi interpreti dello sfruttamento agricolo sono gli stranieri; 50 anni fa anche noi italiani ci lavavamo meno e “per pisciare e cagare si andava in camporella“; sua sorella Nicoletta lo ha già dimenticato